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sabato 22 settembre 2012

Anomalia del prodotto politico

Tra i lussuosi diritti che una repubblica parlamentare garantisce ai propri elettori, rientrano anche:
diritto di vittimismo
● diritto di sudditanza volontaria a fantomatiche dittature
● diritto di imprecare che i politici fanno schifo, al grido di “Ammazziamoli tutti”.

L’unica strage certa è quella di tanti neuroni che disertano il campo dell’intelligenza.
Siamo anche in un sistema capitalistico. Non faccio qua considerazioni di merito, non scomodo il consumismo, strumento che alimenta il sistema deformando il consumo alle esigenze di sostentamento del capitalismo stesso. Provo soltanto a valutare l’anomalia del prodotto “azione politica”, all’interno della logica e della libertà di mercato nel rapporto di consumo produttore/consumatore, offerta/domanda. Cerco di stare dentro le regole comportamentali che caratterizzano in quasi tutti noi tante decisioni di ogni giorno. Provo a farlo attenendomi al familiare meccanismo del processo d’acquisto, col quale tutti abbiamo dimestichezza.

Fatta questa ipotesi operativa, butto lì una considerazione un poco bucolica, un poco illusa, un poco frase fatta. Nel rapporto con la politica dovremmo essere meno accondiscendenti, impegnarci a non farci andare bene le cose. Penso sia sempre meglio vedere mezzo vuoto il barile dell’operato dei politici, poiché l’esperienza ci insegna da tanti anni che prima o poi trovano il modo di svuotare a proprio favore ogni credito di fiducia e di denaro, fino all’ultima goccia, raschiando il fondo senza ritegno. E se è vero che in senso lato vivere in una società organizzata significa di per sé essere un homo politicus, è anche vero che la cittadella della politica è talmente chiusa a casta partitica, che i politici sono categoria sociale a sé. Quindi, come fruitori di quel prodotto sociale chiamato “operato dei politici” dobbiamo imparare a esigerne, come consumatori/elettori, una buona qualità. Da decenni ormai il fornitore “sistema partitocratico” ci rifila un prodotto scadente e insufficiente a un prezzo esorbitante che si chiama “degrado sociale”.

Ora torno alla logica di mercato, e mi appoggio ai pilastri della morale capitalistica: soddisfazione del cliente, libera concorrenza, relativa libertà di scelta, i tanto sacri diritti del consumatore, e via dicendo. Analizzato secondo questa logica, il prodotto “politica” (azione politica) traballa. Dico meglio: va in frantumi.

Dunque, avevo detto: l’azione politica è il prodotto, i partiti sono i produttori, i cosiddetti cittadini (ma pure i campagnoli) sono i consumatori. La pubblicità di prodotto è rappresentata da affissioni statiche in strada o banner in internet, televendite elettorali, comizi su palco a guisa di vendita microfonata di pentolame.

Partiamo dal prodotto, ovvero la proposta politica, catalogabile come “servizio”.
Se il provider (fornitore) del mio collegamento adsl mi fornisse un servizio che non mi soddisfa, posso cambiare provider. Mi rivolgo, in quanto esigente cliente di una società dei consumi, a una proposta alternativa. Posso sempre disporre di una relativa libertà di scelta. Lo stesso varrebbe se avessi bisogno di un antennista, di un idraulico, di un dentista. Posso restare fregato la prima volta, poi mi informo, mi impegno a cercare chi soddisfa le mie specifiche esigenze (risparmio, qualità, ecc.). Ed esercito il mio diritto di consumatore.
Sembrerebbe che la spietata logica di mercato impedisca di avere vita facile a un prodotto insoddisfacente, di mediocre qualità, pieno di inefficienze e dai costi esorbitanti rispetto alle prestazioni fornite. Nessuna pubblicità ingannevole (false promesse elettorali) potrebbe alla lunga ingannare il consumatore, di fronte al deficit del prodotto. Eppure il prodotto continua a vendere bene: da decenni l’“azione politica” made in Italy non supera i controlli di qualità, le certificazioni internazionali si guardano bene da applicarvi il proprio bollino, ma le vendite del presunto operato politico non conoscono mai crisi. Per capire questa anomalia di mercato, spostiamo l’attenzione altrove.

Vediamo come stanno messi i provider del servizio politico, ovvero i partiti. Nell’ipotesi che uno si sforzi un poco di seguire le vicende politiche, le dichiarazioni e puntualmente l’inconcludenza dei fornitori, la tesi è già la pleonastica dimostrazione di se stessa. Ovvero: vediamo come stanno messi i provider del servizio politico, i partiti!
Abbiamo “fabbriche di idee operative per applicazioni sociali” (ciò dovrebbe essere lo scopo pratico di ogni pensare politico) con organigrammi imbarazzanti, quadri dirigenti incompetenti, mission aziendali al di sotto della soglia minima di credibilità in quanto a limpidezza morale e vocazione al servizio pubblico. Ed è proprio il corto circuito tra mission e target a rendere tutt’altro che fatalistica la mediocrità politica italiana: il bersaglio (target) dell’azione politica è l’elettorato, ma lo scopo (mission) non è produrre soddisfazione pubblica (benessere sociale), bensì tornaconto privato.
E non basta. Anche stando dentro le ciniche regole del mercato capitalistico, anche ammettendo che un Partito sia una Azienda senza morale pubblica, dove scopo del produttore è trarre benefici personali attraverso la vendita di un prodotto, anche svilendo la politica a merce di scambio da cabina elettorale, anche così la logica di mercato non basta a spiegare il deficit qualitativo del prodotto.
Perché per stare sul mercato un fornitore di beni e servizi deve comunque garantire una soglia minima di qualità. Nello scenario politico siamo invece di fronte a un prodotto scadente fornito da produttori più o meno allineati su un uguale standard produttivo: scadente. È un mercato, quello dell’azione politica, caratterizzato da una passività tale da poter fare a meno anche di una minima simulazione di competizione in libera concorrenza tra i partiti. Di fatto, non è conveniente investire in un prodotto migliore: a cosa serve investire sforzi e risorse per un prodotto migliore, se ogni competitor trova facilmente la soddisfazione della clientela con un prodotto di omogenea mediocrità?
L’Azienda Partitocratica conserva nell’insieme le proprie fette di mercato continuando a immettere prodotti (dichiarazioni vuote, alleanze spudorate da tornaconto elettorale, capacità d’incidere nullo sulle urgenti necessità della clientela sociale) sotto ogni soglia di sufficienza.
E lo fa indisturbata da decenni, senza che nessuna class action tuteli i sacrosanti diritti dei consumatori.

Andiamo allora a vedere come sta messo il consumatore. Ed ecco forse trovato il guasto nel flusso logico. Avevo scritto: Nel rapporto con la politica dovremmo essere meno accondiscendenti, impegnarci a non farci andare bene le cose.
Qua sta il punto, la presunzione che, al consumatore, un prodotto scadente provochi malessere e il conseguente desiderio di cambiarlo e rivalersi concretamente nei confronti dell’Azienda Partitocrazia (Rottamarli! è un termine che sarebbe tanto tecnico, figo e commerciale, purtroppo anch’esso rientra ormai sotto la voce “diritto di imprecazione sterile”).
Il vero problema è che la presunzione di attenzione e impegno politici degli elettori è tutta da dimostrare. Se un prodotto continua a stare sul mercato, anche grazie ad accordi di cartello, di lobby che decidono nell’Headquarter del Palazzo come spartirsi a priori i benefici partitici dello status quo, è perché al consumatore, in fondo, poco importa della politica che gli viene propinata, foss’anche merda per nutella. Intanto quel vasetto lo si riceve comodamente presso il proprio domicilio una volta ogni quattro anni circa, occorre solo sbattersi per mettere una x sulla bolla di consegna del simbolo di partito, poi si torna a cercare sulle pagine bianche un buon antennista che ultimamente il segnale è disturbato. E non sia mai che si veda leso il proprio diritto di sintonizzarsi su Annozero o Piazzapulita o l’Infedele o Ballarò per poter esercitare l’altrettanto coraggioso, inalienabile diritto di mandarli tutti affanculo. A parole.

Anche altri diritti la Repubblica Italiana garantisce ai propri viziati cittadini:
● diritto di non difendere i propri diritti (ovvero diritto di non esercitarli)
● diritto di lasciare che i Partiti esercitino la Partitocrazia (democraticamente e legalmente)
● diritto di non esercitare il diritto di recesso e il diritto di reso per difetto di fabbrica

Per migliorare l’Azienda Italia, al punto in cui siamo, non serve essere dei cittadini modello. Non serve scomodare la morale o il senso delle istituzioni. Basterebbe essere soltanto dei consumatori attenti.

Ah, dimenticavo: Monti boia e boia chi non glielo dice! (ora mi sento più figo, tu no?)

K.

Nei prossimi numeri (cioè quando mi gira di fare altri post):
È la domanda che genera l’offerta o è l’offerta che genera il bisogno?
L’apatia elettorale è un vizio di sostanza, una fisiologica necessità o un innocuo effetto collaterale del nostro Sistema Socioeconomico?
La democrazia è di per sé un valore sufficiente a garantire la qualità della merce politica?
Gli strumenti democratici del suffragio universale e dell'"una testa un voto" scongiurano o favoriscono la sudditanza partitocratica?
Quali possibili interventi possono modificare il disinteresse del consumatore politico?
Quali fattori favoriscono l’esistenza di un’offerta stimolante rispetto a una sedativa?
Sono auspicabili queste modifiche, o sono capitalisticamente sconvenienti? Sono realizzabili senza intaccare la Struttura Societaria nel suo insieme?
Altre ed eventuali o eventualmente tutt’altro.

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