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lunedì 3 giugno 2013

Arrendiamoci, siamo "largamente" circondati


Il primo impulso, leggendo una dichiarazione del genere, è un misto di ammirazione, per il coraggio, e di spaesamento... sempre per il coraggio. Ce ne vuole a osare tanto senza vacillare e senza arrossire. La facile tentazione è di liquidare Angelino Alfano come il corvo rockfeller del ventriloquo di Arcore, un fenomeno da baraccone insomma.
E si sarebbe tentati di etichettare come porcata quel provvedimento sull'abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti, che quelli delle larghe intese si manterrebbero, di poco decurtati, già per i prossimi tre anni. Non lo chiamo porcata, per rispetto ai suini, che di benefici ne offrono tanti (basti citare salsicce e cotechini).

Oltre lo sterile sfottò, occorre prendere atto (lo facciamo ormai da vent'anni) che tanti fenomeni, da baraccone fino al giorno prima delle elezioni, una volta usciti dalle urne diventano, puntualmente, fenomeni di fisiologica rappresentanza sociale da palchi parlamentari. Nella sostanza, libere elezioni portano in superficie spontanei sintomi, naturali, fisiologici, proporzionalmente distribuiti, appunto di ciò che la società è nel suo complesso, bella o brutta che la si reputi. Recentemente ne sono emersi di nuovi.

Non verso i rappresentanti, ma verso coloro che continuano a reputarli degni di rappresentarli, andrebbe rivolta l'attenzione. Questa considerazione vale per qualsiasi parte e schieramento. Sicuramente, come in qualsiasi comunità, tanto più in una di sessanta milioni di abitanti, ci saranno degli scemi del villaggio. Però è banale pensare che sia la stupidità a tenere in piedi un simile teatrino da così lungo tempo. Magari, più semplicemente, prevale un sentimento di intelligente, ben soppesata convenienza, quindi successiva identificazione.

In ordine di tempo Grillo non ha fatto altro che palesare in maniera più teatralizzata, un ragionamento di pancia che il PD ha portato avanti, in maniera fallimentare, per svariate batoste legislative, pensando che Berlusconi sia il problema, che sia il cattivo da abbattere. E gli attivisti di #occupyPD rischiano di seguire la stessa strada, indignandosi di fiammata per il comportamento dei loro vertici, pronti a sdoganarli l'indomani (se l'autunno mi smentirà, avrò di che goderne). Questo ragionamento consiste nell'attaccare il vertice, il capo, come se ogni eletto non fosse tale per libero conferimento di autorità, che gli deriva dal proprio corpo elettorale.

La frase di Grillo: "Arrendetevi, siete circondati!", può anche divertire nel suo umorismo lanzichenecco. Però, spento il microfono, rimane un tragico equivoco di fondo. Non si tratta di mettere a ferro e fuoco la roccaforte di qualche centinaio di parlamentari. Si tratta di prendere atto, prima di tutto, che fuori dalla palazzina ci stanno decine di milioni di "singoli, normali, fenomeni quotidiani", che sono a favore di quei dignitari. Chi sta sopra trova più comodo attaccare il bersaglio con occhiolino a favor di popolo, poiché attaccare il bersaglio vero urterebbe un ben più intimo furor di popolo, molto suscettibile nella irreprensibilità della propria parte. Lo slogan indignato di un'indimostrata superiorità della società civile sulla classe politica, distoglie l'attenzione dal vero stato di salute della presunta "sana" società. Si rischia la scoperta dell'acqua calda della media statistica: i cittadini valgono i loro politici.

Noi Italiani siamo svariate decine di milioni aventi diritto di voto. Noi votiamo i nostri rappresentanti. Chi sta in alto, sulla scena politica, ci piaccia o meno, ci rappresenta, ognuno rispecchiandosi in chi preferisce. È al popolo che ogni leader dovrebbe gridare "Arrenditi Italia, sei circondata!".
Se si reputa patologica la nostra classe politica, allora bisogna accettare l'idea che c'è della malattia nel tessuto sociale, del quale la politica fa parte. E ci sono due strade per "far cambiare idea" al popolo, alla gente. Si può sbrigativamente cercare di incendiare il Palazzo, per poi scoprire che ci sono anche decine di milioni di persone da "rieducare". Oppure si può - ma per farlo occorre pazienza, capacità e tanto buon esempio - intraprendere un lavoro lungo, faticoso, capillare di educazione civile di esseri pensanti. Questo processo potrebbe innescarsi nelle agenzie educative, scuole e istruzione in primis, e non certo delegando alla Rete compiti che non le competono, pensando che i social network siano la soluzione sbrigativa capace di colmare il vuoto che è altrove, nel vissuto reale. L'informazione, da sola, non genera formazione.

La prima via, pronta a presentare il conto a chi non la pensa come te, abbassa il livello sociale e ha ben poco di direttamente democratico o intelligentemente rivoluzionario.
La seconda via, di faticosa ascesa, eleva alla fine il livello sociale, consolidandolo nel tessuto civile. Ma è, appunto, via lenta e impegnativa, quasi rivoluzionaria nella sua verginità di percorso. Ormai non c'è forse più tempo, ma si dovrà prima o poi, inevitabilmente, ripassare da lì, poiché una società sale con la consapevolezza che germoglia dal basso, non con i miracoli calati prepotentemente dall'alto.

L'attuale situazione, non può nemmeno definirsi la terza via, perché quella di cui Alfano è entusiasta è una stasi civile che dura da vent'anni e che, se avanza, lo fa ormai con rantolo inerziale.
L'unica smunta consolazione, qualora andasse tutto a scatafascio, è che di preziosità da salvare ne rimane sempre meno. Vite delle persone a parte.

K.

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