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mercoledì 17 aprile 2013

Non sum dignus. Anzi, degnissimo sono!

Penso che oltre il merito delle questioni conti qualcosa anche il metodo col quale le si affronta. Anzi, il metodo di solito non viene oltre, ma viene prima. Faccio qualche considerazione su Beppe Grillo e il suo modo oramai assodato di rapportarsi alla Politica.

Beppe Grillo, come privato cittadino, a un certo punto, tanti anni fa, decide di impegnarsi per dare voce a un sentimento di protesta sociale contro l'evidente, pluriennale gestione viziosa della Cosa Pubblica. Si impegna, per anni, girando l'Italia, salendo sui palchi nelle piazze, col bello e il cattivo tempo. Diventa nell'immaginario collettivo la figura di riferimento, il portavoce della denuncia di tante cose  che non funzionano. L'immaginifico assume sempre più concretezza: Grillo fonda il Movimento Cinque Stelle, assumendone il ruolo di presidente, con proprietà di marchio e nome del movimento stesso.

Il semplice fatto che un privato cittadino decida di dedicare il proprio impegno per far sorgere dal nulla un'organizzazione che dia forma e sostanza certe a una "lamentela" fino ad allora sparsa, scoordinata ed esposta al rischio di rimanere inconcludente, fa di Beppe Grillo una persona che merita rispetto. Merita rispetto, per me, chiunque genera rappresentanza sociale di una qualsivoglia esigenza e rivendicazione più o meno latente dentro la società.

Il meritevole cittadino Beppe Grillo si rivela anche persona virtuosa. Decide infatti di autoescludersi da possibili cariche istituzionali, rinunciando a candidarsi alle elezioni politiche per un eventuale posto (praticamente certo, dato il consenso di cui gode tra gli elettori del M5S) da parlamentare. "Ho avuto un incidente di macchina nel 1980, guidavo io, mi sono salvato per miracolo, ma sono morte tre persone che erano con me e sono stato condannato per omicidio colposo a un anno e tre mesi."
In questa scelta c'è coerenza: Grillo sottostà, senza eccezioni di privilegio per la propria persona, a un preciso dettame contenuto nel programma del Movimento Cinque Stelle: "Non eleggibilità a cariche pubbliche per i cittadini condannati."

Pochi giorni fa si è aggiunta, su questa linea di autoesclusione da cariche istituzionali, la sua coerente precisazione riguardo il suo nome entrato in graduatoria tra le prime dieci persone indicate nelle Quirinarie come possibili candidati del M5S da proporre come prossimo Presidente della Repubblica (alla fine è risultata vincente Milena Gabanelli). Scrive Grillo nel suo blog, a fine post: "Ringrazio tutti coloro che mi hanno votato per la Presidenza della Repubblica, ma non parteciperò come candidato alle votazioni odierne."
Il comportamento di Grillo pare encomiabile.

Ora, provo a riprendere i passaggi precedenti e a confrontarli con alcune altre interazioni politiche di Beppe Grillo. Muovo qualche obiezione o, per usare un'espressione cara agli amanti dell'approssimazione sbrigativa, mi macchio del crimine di fare inciucio: faccio inciuciare alcune certezze con alcuni dubbi. C'è chi lo chiama confrontodiritto di critica.

L'ammirevole scelta di Beppe Grillo a non candidarsi come parlamentare, contrasta col fatto che alle stesse elezioni politiche del febbraio 2013 - vuoi chiamarlo garante del Movimento vuoi chiamarlo leader politico - Beppe Grillo viene indicato come leader del M5S. Si generano le premesse di un paradosso logico-virtuoso, non forse un vulnus giuridico, ma certamente un vulnus della tanto osannata coerenza a Cinquestelle (la parola "coerenza" viene sovente scomodata a sproposito da chi non sa o non vuole afferrarne il significato). Il paradosso, facilmente prevedibile, si tramuta in realtà al termine degli scrutini. Un privato cittadino che ha deciso di tenersi fuori, di autoescludersi da concorrere alla carica di parlamentare della Repubblica Italiana è il presidente di un Movimento che ha ora dentro il Palazzo 163 parlamentari.

Del resto, in merito alla carica di Presidente della Repubblica, muovo altri due appunti all'iter comportamentale di Beppe Grillo.
Il primo: pare logico aspettarsi che chi, di propria libera iniziativa, reputa di non poter concorrere a diventare parlamentare della Repubblica, a maggior ragione manco si sogni di ritenersi idoneo a ricoprire la più alta carica dello Stato. Si potrebbe dire "Ma se sono gli elettori a volerlo?!". Al che io replico: chi fa sfoggio di moralità spontanea, poi non può ignorare il personale, severo metro di valutazione che applica a se stesso, per fare contenti gli altri. Non essendoci validi elementi di novità a mutare il contesto, sarebbe banale atto di incoerenza comportamentale. Grillo sceglie di non poter essere eletto parlamentare, nel far questo sceglie di non poter essere nemmeno qualcosa di più di un parlamentare, istituzionalmente parlando.
Quindi la precisazione di Grillo che si autoesclude dalle fasi finali delle Quirinarie è apprezzabile, giunge comunque tardiva. Anzi, c'è da stupirsi che a tanti simpatizzanti non sia ben chiaro da tempo che Beppe Grillo non è moralmente eleggibile a Presidente della Repubblica (proprio come segno di rispetto del senso di moralità che Beppe Grillo ha attribuito a se stesso).

Il secondo: non capisco come faccia, un privato cittadino che decide di non ritenersi degno del ruolo di parlamentare, a non porsi invece alcun problema (facciamo di coscienza? facciamo di inadeguatezza? facciamo di imbarazzo?) a presentarsi come capodelegazione del M5S, al degnissimo cospetto della Presidenza della Repubblica, in occasione delle consultazioni per la formazione del Governo.

Siccome dalle urne sono usciti eletti 163 parlamentari del Movimento Cinque Stelle, a loro, e non al blogger Beppe Grillo, rivolgo gli intellettualoidi inciuci che mi perplimono.

Come può un parlamentare del M5S, ligio a un programma con severi vincoli di moralità giuridica in merito alla candidabilità parlamentare, accettare di avere come presidente del Movimento stesso un individuo inadeguato a ricoprire un ruolo istituzionale che il parlamentare ricopre e che il presidente è indegno di ricoprire?

Come possono i capigruppo dei parlamentari di Camera e Senato del M5S accettare di presentarsi di fronte al Capo dello Stato, accompagnati da un privato cittadino che, per propria iniziativa, si è ritenuto ineleggibile al ruolo di parlamentare?

Perché, in linea più generale, i parlamentari tutti, altre cariche istituzionali, fino al Presidente della Repubblica, accettano di interloquire con una persona che, per quanto degnissima nella vita civile, in politica ha meno valore di rappresentanza di un consigliere comunale di un paesino sperduto tra i monti?

Si potrebbe obiettare facilmente che, per come il M5S interpreta il "fare politica", i cittadini si stanno riprendendo le istituzioni, scacciando a colpi di votazione assembleare le cariche rappresentative. Se così fosse, prima di essere in contraddittorio con me, lo siete con Beppe Grillo. Se Grillo reputa irrilevante la carica politico-istituzionale ricoperta, che bisogno aveva di precisare il motivo della sua non candidabilità a parlamentare? Gli sarebbe bastato dire che a lui di fare il parlamentare non gliene fregava nulla, che tanto può andarci chiunque a parlare con il Capo dello Stato. È una rispettabilissima visione di come rapportarsi al potere, sicuramente più coerente di chi prima fissa delle regole per poter essere candidabile a un ruolo istituzionale (giusto per farsi paladino dei requisiti di moralità necessari per entrare nelle istituzione) e subito dopo non riconosce alcun valore di rappresentanza a quello stesso ruolo. Non la riconosce ai parlamentari degli altri partiti (evidentemente eletti da marziani o tutt'al più da cittadini categoria economy, ben al di sotto dei milioni di cittadini a cinque stelle), non la riconosce nemmeno ai propri parlamentari, visto che vi si pone in testa (lui, che istituzionalmente non conta nulla) per entrare al Quirinale.

Ognuno è libero di avere la propria opinione. Io, per ora, mi tengo la mia. Ovvero che a Beppe Grillo, quando si tratta di detenere il controllo al vertice del Movimento Cinque Stelle e di essere presente nei momenti politici che contano, delle regole del gioco frega meno che nulla. Quando invece c'è il rischio di ritrovarsi a ricoprire una carica istituzionale, sia essa da parlamentare piuttosto che da Capo dello Stato, Beppe Grillo diventa d'un tratto ligio alle regole del gioco, alcune scritte su sua stessa ispirazione.
Significa, per me, che gli fa comodo - anzi, è la sua prima preoccupazione - tenersi fuori, in modo da poter continuare a offendere chi sta dentro, mantenendosi al contempo contrattualmente al di sopra dei suoi che stanno dentro e che istituzionalmente gli stanno nettamente sopra. Insomma, mentre gli altri sono comunque in campo, a Beppe piace fare solo ciò che sa fare meglio: l'ultrà della curva che elargisce costruttivi sfottò e cori di vaffanculo, fuori dal recinto di gioco, cazzutamente appollaiato su una transenna.
In questo metodo, non c'è coerenza morale, c'è soltanto ipocrisia moralistica a proprio uso e consumo.

Non soltanto dei santi del calendario diffido.
Diffido anche di certi martiri laici, di chi si flagella da sè, fustigandosi per le proprie colpe ma, così facendo, cercando di sottrarsi al giudizio degli altri, mortificandosi fin dove gli fa comodo, fermandosi un attimo prima del chiudersi definitivamente la porta alle spalle, pronto ad autoassolversi quando gli tornasse comodo entrare dal portone principale.
Grillo professa lo stesso bigotto mea culpa di chi, un attimo dopo, aggiunge: Dite soltanto una parola ed io sarò salvato. La parolina magica che apre tutte le porte delle coscienze sporche è sempre quella: ipocrisia.

K.

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